Chiesa di Santa Cristina – Caso (i luoghi del silenzio)
La chiesa sorge su un collicello sopra l’abitato di Caso e da li si gode di un panorama unico del Monte Civitella con le sue muraglie rocciose
Cenni Storici
Si trova nei pressi di Caso, lungo l’antica mulattiera per Gavelli; l’edificazione del piccolo ed elegante edificio romanico, del tipo consueto in cortina di pietre conce perfettamente eseguita, risale al XII – XIII secolo.
Il culto della Santa martire fu qui importato dagli eremiti siriani, divenendo particolarmente fecondo in tutta la Valnerina.
Il Fabbi ricorda che Santa Cristina, martire di Tiro, a cui è dedicata la suggestiva chiesetta romanica, è “…titolo memore della vita eremitica dei Siriaci nella Valnerina“.
La documentazione d’archivio, conservata presso lo Stato civile del Comune di Sant’Anatolia di Narco, attesta la produzione dei libri dei battesimi, matrimoni e morti a partire dal 1792 e fino al 1860.
Aspetto esterno
Sulla facciata, con tetto a capanna, si apre un portale arcuato, una monofora ed un alto campanile a vela, a doppio fornice collocato centralmente.Lungo il lato destro si nota una stretta porta architravata, sui due lati si aprono strette feritoie.
L’abside, semicircolare, è priva di qualsiasi decorazione come tutto il resto del semplice edificio.
Interno
L’interno è a navata unica, terminante con abside, l’una e l’altra interamente affrescate, le coperture sono a capriate, la travatura a cavalletti poggia su mensole elegantemente intagliate.
Sul perimetro della chiesa si trova un sedile in pietra che corre lungo tutta la sua lunghezza.
La ricca decorazione a fresco è interessante poiché rappresenta un tipico esempio di vivace linguaggio popolare, di un’arte non esclusiva prerogativa delle grandi città, ma che trova spontanea diffusione anche nei più sperduti paesini di montagna.
Esemplificativi di tale espressione artistica la rappresentazione del Giudizio Universale, alcuni affreschi votivi ove ricorre il tema della salvezza miracolosa da un naufragio e il racconto figurato delle Storie di Santa Cristina.
Ma nella chiesa sono presenti anche opere degli artisti che all’epoca erano più in auge e attivi nella zona dello spoletino, quali il Maestro di Eggi e lo Spagna.
Gli affreschi delle pareti laterali sono distribuiti in due zone, di cui quella inferiore interessata dalla decorazione più antica, parzialmente ricoperta dalle successive opere del registro superiore.
Al registro inferiore della parete sinistra dall’ingresso alla parete d’altare si trovano:
Madonna col Bimbo in trono, fine secolo XV; Santa Cristina su fondo damascato, fine secolo XV; Santa Cristina incoronata da due Angeli, della fine del secolo XV; Santa Cristina, entro edicola, del principio del secolo XVI.
Segue una Madonna col Bimbo, molto guasta in basso, del secolo XVI avanzato, altra Madonna col Bimbo su fondo damascato, di scuola dello Spagna, molto rovinata; Santa Cristina, che reca in alto la scritta: QUESTA FIGURA LA FACTA FARE MARIA DE NICOLA DE MARTINO / P(ER)VOTO .1516.
Si trova poi un interessante affresco raffigurante la Madonna del Latte fra San Giacomo e San Giovanni, quindi, due immagini di Santa Cristina, tutti affreschi del principio del secolo XVI attribuibili al Maestro di Eggi.
Su uno strato più antico una rara e interessante raffigurazione di una Trinità trifronte; a fianco una Santa Cristina, di scuola dello Spagna, con sotto una scritta quasi svanita e la data 1524; tutte queste opere sono molto rovinate nelle parti inferiori.
Al registro superiore, sempre risalendo la parete: Scena della predica agli uomini sulla barca, di cui resta soltanto la parte inferiore, della fine del secolo XV; Madonna in trono che allatta il Bambino e a sinistra Santa Cristina e cinque Scene del suo martirio, opera di fattura ingenua di un ignoto trecentesco, poi Santa Cristina, affresco della fine del Trecento.
Nel catino dell’abside è affrescato, l’Eterno benedicente entro mandorla di cherubini fra due Angeli, opera dello stesso pittore che ha dipinto un’edicola nel monastero della Stella in Spoleto, datato 1530.
La parte inferiore è tutta perduta.
Al centro, già alloggiata in un tabernacolo a sportelli dipinto con storie del martirio della santa, era una Statua lignea di Santa Cristina, policromata, della metà del XIV secolo, opera del Maestro di Cesi, oggi visibile al Museo diocesano di Spoleto.
Nella parete esterna, sul lato destro: Sant’Antonio Abate, affresco del secolo XV, perduto nella parte inferiore.
Sulla parete destra, a partire dall’ingresso, al registro inferiore: Scena di nudi femminili che potrebbe rappresentare l’Inferno, parte di una rappresentazione del Giudizio Universale, con numerose scritte indecifrabili; segue San Pietro (molto frammentario) a guardia della porta del Paradiso.
Al di là di questi, distribuiti su tre zone, Sette Santi in alto (il Paradiso), in cui da sinistra parrebbe di riconoscere nel secondo e nel terzo San Domenico e San Francesco; il quinto è un vescovo, il settimo un papa.
Al di sotto, due teorie di oranti con i volti quasi tutti rivolte verso San Pietro e la Porta del Paradiso dovrebbero rappresentare simbolicamente il Purgatorio.
L’importante e singolare raffigurazione, forse della fine del Duecento, merita uno studio più approfondito.
Segue una Madonna col Bambino in trono e Santa Cristina, sotto un portico sostenuto da tre colonnine, affresco posteriore al precedente, guasto e lacunoso.
Al di là della porticina laterale, Santa Cristina entro edicola arcuata, reca in alto la scritta: IOHANNI DE APPELONIA.F.F. P(er) VOTO. 1527, e sull’arco: S. CRISTINA. V.M. poi un’altra figuretta rappresentante Santa Cristina.
Al registro superiore, partendo dall’ingresso, si incontra un affresco con cinque Santi difficilmente identificabili, quello centrale è completamente perduto, forse l’ultimo a sinistra è San Giovanni evangelista.
A sinistra Cristo in trono benedicente e con il Vangelo aperto, dietro due Angeli che sostengono un drappo.
Seguono cinque Sante, con le scritte frammentarie in lettere gotiche: SCA.MARIA…,SCA. CRISTINA, SCA. CATERINA, SCA. MARIA. MADALENA, SCA. LUCIA, affresco della fine del Trecento.
Poi si trova un’altra Santa Cristina entro edicola con colonnine tortili, di pittore trecentesco.
Chiude il registro superiore un affresco raffigurante Santa Cristina predica ad un gruppo di uomini che affollano una barca, sotto vi è la data: ANNO.D.M°. – CCCC.LXXI.
Da questa chiesa proviene anche un Crocefisso dipinto su tavola sagomata, attribuito non si sa con quanto fondamento a Domenico da Leonessa (secolo XV), assai mal ridotto e quasi illeggibile.
Storia di Santa Cristina
La Passio di Santa Cristina di Bolsena racconta che al tempo dell’Imperatore Diocleziano (243-312) la fanciulla, figlia del magister militum di Bolsena Urbano, era stata rinchiusa dal padre insieme con altre dodici fanciulle in una torre affinché venerasse i simulacri degli dei come se fosse una vestale.
Ma l’undicenne Cristina aveva già conosciuto la fede cristiana e vi aveva aderito, si rifiutò pertanto di venerare le statue e dopo una visione di angeli le distrusse.
Supplicata invano di tornare alla fede tradizionale, fu arrestata e flagellata dal padre magistrato, che poi la deferì al suo tribunale che la condannò a una serie di supplizi, tra cui quello della ruota sotto la quale ardevano le fiamme.
Dopo di ciò fu ricondotta in carcere piena di lividi e piaghe; la giovane fu consolata e guarita miracolosamente da tre angeli scesi dal cielo.
Risultato vano anche questo tentativo, lo snaturato padre la condannò all’annegamento, facendola gettare nel lago di Bolsena con una mola legata al collo.
Prodigiosamente la grossa pietra si mise a galleggiare invece di andare a fondo e riportò a riva la fanciulla.
Di fronte a questo miracolo, il padre scosso e affranto morì, ma le pene di Cristina non finirono, perché il successore di Urbano, il magistrato Dione, infierì ancora di più.
La fece flagellare, poi gettare in una caldaia bollente piena di pece, resina e olio, da cui Cristina uscì incolume, le furono tagliati i capelli e fu trascinata nuda per le strade della cittadina lagunare, infine, nel tempio di Apollo, Dione le intimò di adorare il dio, ma la fanciulla con uno sguardo fulminante fece cadere l’idolo riducendolo in polvere.
Anche Dione morì e fu sostituito dal magistrato Giuliano, che seguendo i suoi predecessori continuò l’ostinata opera d’intimidazione di Cristina, gettandola in una fornace da cui uscì ancora una volta illesa.
Cristina fu indomabile nella sua fede, e per questo Giuliano l’espose ai morsi dei serpenti, portati da un serparo marsicano: questi invece di morderla, presero a leccarle il sudore, poi i serpenti si rivoltarono contro il serparo mordendolo ma Cristina mossa a pietà lo guarì.
Finalmente gli arcieri la trafissero mortalmente con due frecce.
Questo è il racconto leggendario della Passione di Santa Cristina che è stato un soggetto privilegiato per gli artisti di ogni tempo, i quali rappresentarono le scene del suo martirio con i simboli della mola, dei serpenti e delle frecce.
Curiosità
Santa Cristina era particolarmente venerata dalle ragazze giovani in cerca di marito.
Dell’antico mondo rurale e silvo-pastorale, ancora fortemente leggibile nella struttura del paesaggio di Caso, si conserva inoltre una vecchia tradizione legata al rito delle rogazioni, preghiere intercalate da litanie e recitate processionalmente per propiziare abbondanti raccolti e per allontanare le calamità naturali: per la festa primaverile di Santa Cristina, che nella cultura popolare del luogo è stata assunta a protettrice degli alberi da frutto pregiati, quali mandorli e meli, di grande valore nell’economia rurale di un tempo, si svolgevano due processioni, una verso Capo le Campore, dove è la piccola chiesa dedicata alla Santa, a monte dell’abitato, ed un’altra verso il Piano delle Melette.
Alcune di queste rogazioni, in una ibrida commistione di latino ecclesiastico e di parlata locale, cosi recitavano:
“A fulgure et tempestate/
A flagello terremotus/
A peste, fame et bello/
(litania) libera nos, Domine.
S. Cristina su capo le Campore/
fa’ vini’ bone le nostre mandole /
(litania) te rogamus andi nò.”
A questo una vecchietta era solita rispondere:
“E le meletteroscette ‘ncò.
(litania) te rogamus andi nò“.
Mandorle e mele, erano un tempo coltivate nel cosiddetto “Piano delle Melette” di Caso.
Il nome è legato all’usanza di raccogliere le mele più brutte, che erano tagliate a fettine sottili, essiccate nei forni dopo la cottura del pane, e successivamente masticate dalle filatrici come se fossero dei chewing-gum per aumentare la salivazione e andare più spedite nel ritorcere a mano i loro fili.
Fonti documentative
ANGELINI ROTA G. Guida di Spoleto e del suo territorio, A.G. Panetto e Petrelli, 1929
FABBI A. Guida della Valnerina: storia e arte / Abeto (PG), presso l’autore, 1977
FABBI A. Storia dei comuni della Valnerina Abeto (PG), presso l’autore, 1976
FAUSTI L., Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo, Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, Foligno, 1913
GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria – Manuali per il territorio – La Valnerina, Il Nursino, Il Casciano – Edindustria Roma, 1977
IACOBILLI LUDOVICO, Vite dei Santi e Beati dell’Umbria, 1647
NESSI-CECCARONI, Da Spoleto a Monteleone attraverso il Monte Coscerno, Itinerari Spoletini 1, Spoleto, 1972
Sacra visita di Carlo Giacinto Lascaris vescovo di Spoleto, 1715, in Archivio Storico Diocesano di Spoleto
Sacra visita di Pietro de Lunel vescovo di Gaeta, 1571, in Biblioteca Comunale di Foligno
SPERANDIO B., Chiese romaniche in Umbria, Quattroemme, Perugia, 2001
Per Visite
Contattare il Comune di S. Anatolia di Narco per le chiavi e la visita guidata.
Da vedere nella zona
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