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BORGARIA – “Narni e la via Tiberina”

BORGARIA – “Narni e la via Tiberina”

Castello di Borgaria – Narni (TR) “i luoghi del silenzio”

Un piccolo borgo molto interessante e piacevole da visitare.

Cenni storici

In merito alla derivazione del nome ci sono svariate ipotesi prima fra tutte che discenda dalla parola arciporcaro, un termine con il quale, all’epoca della dominazione longobarda, si designava il sovrintendente dei boschi e pascoli destinati ai maiali, stanziato in questo piccolo paese appartenente al Ducato di Spoleto.
All’inizio pare sia stata chiamata Porcaria, in tempi recenti ha assunto il nome attuale di Borgaria.
Ciò parrebbe confermato da una vecchia porta del paese detta appunto porta dei porci.
Altri studi filologici hanno portato un chiarimento alla questione ed ha potuto stabilire che il termine borgo è un derivato di burgus-i, termine usato dallo scrittore di cose militari Vegezio nel V secolo, che lo definisce come “castellum parvulsem”.
Tale ipotesi è stata avanzata da G. Serra in uno studio sui derivati di burgus.
Da questa voce avrebbe origine il comitato di Burgaria ossia del comitato burgarense che è situato lungo il fiume Ticino in provincia di Novara.
Tale comitato dovrebbe risalire al periodo del tardo Impero o ai primi secoli dell’Alto Medioevo, durante il quale sorse nella zona un sistema difensivo costituito da una certa quantità di burgi che erano piccoli castelli atti alla difesa.
Anche per la frazione di Cesena chiamata tuttora Bulgaria viene accettata l’origine da burgus; anche questa località faceva parte di una burgaria cioè di un distretto territoriale munito di burgi per la difesa militare.
Ma questo sistema di burgi dell’Italia bizantina fu travolto dai Longobardi che, sopraffatte le varie burgarie, avanzarono con le loro fare delle quale restano i nomi in tante località dell’Italia Settentrionale e Centrale.
Per quanto riguarda la nostra Borgaria il Serra dice solo di Borghesia ossia Borgaria frazione di Narni.
Ad avvalorare l’ipotesi che Borgaria sia l’antica burgaria Narnese bizantina, è la presenza di un’antica chiesa nell’abitato dedicata a Sant’Apollinare; notizia confermata da un manoscritto del Gesuita narnese Fulvio Cardoli (1527-91), la quale fa supporre che Borgaria fosse il nucleo più importante del sistema di fortificazioni narnese e che in esso avesse residenza il praefectus militium o, come lo chiamavano i greci, stratopedarcha.
Dell’antica Borgaria facevano parte i castelli vicini tra cui il castello di Buffone con la sua torre tutt’ora esistente, e anche la torre di Santa Pudenziana che intorno all’anno 1000 fu adattata a campanile.
Per quanto concerne la preistoria, qui sono stati trovati reperti fossili e sostanze minerali molto interessanti, risalenti all’era in cui il territorio ancora si trovava sommerso dalle acque marine.
In epoca storica, la presenza dei romani è testimoniata da resti di abitazioni e opifici, nonché dal rinvenimento di un buon numero di frammenti ed iscrizioni che tuttora si trovano sparsi per il paese.
In epoca medievale diviene un Castello della diocesi di Narni come si rileva dal “Registro delle rendite” della Chiesa negli anni 1191, 1192 e 1225.
Nel 1291 anche Borgaria viene colpita da interdetto in quanto, come già Narni e Amelia, si rifiuta di pagare il censo alla Chiesa.
Lo spirito di questa gente continua ad essere piuttosto vivace e ribelle.
Nel 1508 gli uomini di Borgaria vincono una causa e vengono liberati dal giudice dall’obbligo collettivo di prestare la loro opera per la costruzione della porta delle Arvolte a Narni: obbligo imposto da Sisto IV.
 

Aspetto

Dell’impianto medievale del castello e delle sue appendici rimangono pochi elementi.
La torre di avvistamento è collocata in cima a un colle di fronte all’abitato.
Originariamente a base poligonale rimangono oggi visibili pochi ruderi.
Intorno all’abitato si scorge ancora la cinta muraria della quale restano pochi tratti insieme ad una torre a pianta circolare in buono stato di conservazione.
 

Palazzo Cesi

Entrando nel paese si nota subito che esso è stato costruito intorno a resti di fabbricati monumentali che non hanno niente di paesano: sono muri grandiosi fatti da pietre squadrate, archi perfetti inseriti nel contesto di eleganti fabbricati che erano incardinati su un sistema di torri legate fra loro da muri e da archi; fra essi spicca un palazzo forse destinato ad una autorità militare o del Castaldo regio o dell’Arciporcaro.
Verso la fine del XVI secolo Romolo Cesi, vescovo di Narni, costruì sui resti di questo vecchio fabbricato un altro piano dando così al complesso il sapore del tipico palazzotto cinquecentesco italiano.
La parte che fa meravigliare chi guarda il palazzo è il grande portale, che si apre su un lato.
Si tratta di un portale largo m. 1,75 e alto circa m 2,80, costituito da blocchi di pietra bianca e grigia alternati, formanti due stipiti paralleli dello spessore di cm. 80, coronati da un arco a tutto sesto strutturato da conci raggiati della stessa pietra.
I conci formano una larga Oliera piana provvista di un archivolto leggermente aggettante, che serra i conci e si conclude all’altezza dei pilastri entrando orizzontalmente verso il centro dell’arco in modo da chiudere la ghiera all’altezza dell’imposta dell’arco e separare la sua superficie da quella delle due facce dei pilastri.
In più questo arco perfetto ha una particolarità che gli conferisce un sapore leggermente orientale e del tutto insolito: l’arco dell’estradosso non è concentrico con quello dell’intradosso, ma il primo ha il centro sensibilmente più alto di modo che la linea orizzontale che taglia in un perfetto tutto sesto la luce dell’arco proseguita fino all’estremità opposte dell’estradosso trova che questo, all’altezza dell’imposta, si sta già restringendo, perchè la massima apertura corrispondente al diametro orizzontale è più alta e l’arco dell’estradosso si chiude quindi non sul diametro ma su una corda, generando così un arco eccedente che dà alla ghiera, chiusa fra i due archi con i centri spostati verticalmente, la forma di ferro di cavallo che hanno in misura molto più pronunciata gli archi moreschi.
Questo spostamento in alto del centro dell’estradosso non è dovuto ad esigenze di carattere tecnico-costruttivo ma è solo un mezzo artistico, cioè una pura invenzione, che conferisce all’arco la grandiosità e la maestosità, che si addicevano alla residenza di un’autorità.
Queste tecniche costruttive e queste pietre, prive di ogni decorazione, sono bloccate insieme, apparentemente senza calce, legate solo da un’arte murarla consumatissima frutto dell’esperienza accumulata nei secoli da generazioni di lapicidi, di muratori e di accorti imprenditori edili portatori, forse ignari, dell’antica abilità dei costruttori del vicino Ponte di Augusto.
Un arco simile a questo del palazzotto di Borgariti si trova ad un paio di chilometri da qui, sulla facciata della chiesa di S. Martino di Taizzano.
ASPETTO
Dell’impianto medievale del castello e delle sue appendici rimangono pochi elementi. La Torre di avvistamento che controlla l’attuale S.S. Tiberina, è collocata in cima ad un piccolo colle di fronte all’abitato vero e proprio.
Originariamente a base poligonale rimangono oggi visibili pochi tratti insieme ad una torre a pianta circolare in buono stato di conservazione.
 
 

Chiesa dei SS. Silvestro e Feliciano

La chiesa, coeva al castello, sorge nella parte più alta del paese con una porta ingresso disposta lateralmente sulla parete che si affaccia sulla piazza.
La dedicazione originale era San Silvestro, ma successivamente vi furono trasferite le reliquie di San Feliciano tuttora conservate in una teca di vetro davanti all’altare e la stessa festività riconosciuta non è a fine anno.
Presenta una navata unica divisa da tre arconi con tetto a capanna; ha subito diverse trasformazioni tra cui lo spostamento dell’altare nella parete di fondo, infatti si nota nell’attuale parte opposta all’altare l’abside che ora è occupato dal fonte battesimale.
Che questa sia stata l’originale sede dell’altare è confermata altresì dalla presenza dell’Agnus Dei nell’apice dell’arcone.
Nella parete destra durante lavori di ristrutturazione sono venuti alla luce tre affreschi cinquecenteschi rappresentanti tre Madonne con Bambino, di cui una che allatta il figlio.
Degno di nota anche un capitello protoromanico rovesciato su cui è stata adattata una colonnina con una vasca in pietra che funge da acquasantiera.
Altri reperti romani sono presenti fuori dalla chiesa fa cui un resto di colonna, una lapide a mezza luna e una pietra orlata usata come scalino di una porta.
 

Fonti documentative

G. Bolli – La Chiesa di San Michele Arcangelo nel castello narnese di Schifanoia – 1982

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